A passo d'uomo, Denis Imbert (2023)
“A Passo d'Uomo”, il film diretto da Denis Imbert, tratto
dall’autobiografia di Sylvain Tesson, è la storia di Pierre (Jean Dujardin), un
noto scrittore appassionato di viaggi avventurosi e di montagna che a un certo
punto della sua vita si trova a fare i conti con la perdita della cosa su cui
aveva sempre potuto contare: il suo corpo forte e atletico. Di colpo il quesito
che prima o poi tutti si pongono – che senso ha la mia vita? – si abbatte su di
lui e lo costringe ad affrontare una ricerca interiore che lo condurrà alla
salvezza.
In seguito a un incidente, che il film disvelerà
gradualmente, Pierre si risveglia dal coma pieno di ferri e di tubi in un letto
d’ospedale. Il medico che lo visita dopo
alcune settimane gli prospetta di poter andare a trascorrere l’estate in un
centro di riabilitazione. Pierre non prende neppure in considerazione l’ipotesi
e gli risponde che lui, quell’estate, sarebbe andato a fare un lungo cammino.
Il film non si sofferma sulla convalescenza, ma procede a
salti e ci troviamo rapidamente a seguire l’impresa: 1300 kilometri dal parco del Mercantour, nel sud est
della Francia, fino alle falesie del Jobourg all'estremo ovest della Normandia,
attraversando in diagonale l'intero paese e percorrendo solo piccoli sentieri
fuori dalle rotte turistiche.
Che dire di questo film? Mi trovo quasi in imbarazzo a
commentare l’emozione che mi ha suscitato vedere il protagonista completamente
solo in mezzo a scenari naturali di una bellezza da mozzare il fiato. Sentire
il respiro affannato che quando si cammina così a lungo diventa il tappeto sonoro
di intere giornate oppure il ticchettio delle racchette che segnano il passo. Vedere
le mucche che pascolano libere, udire la dolcezza del vento tra le foglie, provare
il sollievo dell’acqua che gorgoglia fresca nel torrentello. Pierre è rimasto
sordo da un orecchio e ha problemi di equilibrio, ma non si concede scorciatoie
e sceglie sempre le vie più ardue, i passaggi più scoperti, le discese più
pericolose. Non tollera le mezze misure e vuole farcela ad ogni costo. Anche
per questo decide di dormire all’aperto per tutta la durata del cammino
accendendosi il fuoco ogni sera per scaldarsi. Non viene fatto alcun cenno all’organizzazione
che in realtà è necessaria per camminare così a lungo, si vede soltanto una
scena in cui compra del formaggio da una ragazza che vive in montagna. Da questo
punto di vista il film non offre spunti di alcun genere a noi popolo dei
camminatori che quando prepariamo lo zaino prima di una partenza siamo abituati
a pesare sulla bilancia elettronica anche i sacchetti di nylon in cui infilare tutti
i componenti della nostra sobria attrezzatura. Probabilmente, se non avesse rischiato la
morte o l’invalidità permanente, Pierre non si sarebbe lanciato in questa
impresa, preferendole esperienze sportive più eclatanti, brevi e “visibili” da
inserire nel suo carniere di cacciatore di successi. Ma ora, in seguito all’evento
che gli ha cambiato la vita e che lo ha umiliato nel profondo mettendolo
davanti alla sua sciocca vanità, Pierre ha bisogno di fare un passo indietro,
in completa solitudine e senza farsi sconti. Ha bisogno di fare questa dura esperienza
perchè deve rimettersi in carreggiata e soltanto abbassandosi al livello dei
suoi passi potrà recuperare il tasso di umiltà bastevole a proseguire un’esistenza
che non sia solamente ciò che resta della precedente ma al contrario una
distesa di giorni pieni di senso.