L'ordine del tempo, Liliana Cavani (2023)
"Cosa fareste se sapeste che il mondo sta per finire?”, chiede Liliana Cavani ai protagonisti del suo ultimo film “L’ordine del tempo”, tratto dall’omonimo saggio dello scienziato-scrittore Carlo Rovelli (qui anche sceneggiatore). Le risposte sono le più varie. Quando la prospettiva della fine diventa concreta e incrina l’atmosfera rilassata dei giorni di vacanza di un gruppo di vecchi amici, radunati in una villa sulle dune di Sabaudia per festeggiare il cinquantesimo compleanno della padrona di casa, ciascuno di loro racconta al compagno/a, moglie/marito o all’amico/a il sogno che si è distrattamente lasciato sfuggire, l’obiettivo che non ha raggiunto, l’intento a cui non ha saputo dare corpo. Quel sogno, quel desiderio, quel bersaglio mancato, di fronte al timore della morte, ricompare e diventa una scheggia di rimpianto, la constatazione di una mancanza inspiegabile, di una rinuncia in fin dei conti inutile. Senza arrivare all’epilogo del racconto, che scoprirete da soli se andate a vedere il film, il focus a cui la Cavani ci inchioda come sulla croce è questo: perché capita frequentemente che ci si perda durante il viaggio? Perché ci succede così sovente di smarrire il bandolo della nostra personale matassa? Perché alla fine dei giorni ci tornano in mente proprio le promesse che ci siamo fatti da giovani e che non abbiamo mantenuto? Perché percepiamo oscuramente di esserci traditi? Perché questo tradimento ci addolora così tanto?
Nessun commento:
Posta un commento