Roma e il cinema

giovedì 9 novembre 2023

Anatomia di una caduta, Justine Triet (2023)



Qualche giorno fa ho visto “Anatomia di una caduta” di Justine Triet, la regista francese a cui dobbiamo un precedente film del 2019 che non riscosse molto successo (Sybil – Labirinti di donna), e che con quest’ultimo si è invece portata a casa niente meno che la Palma d’Oro al Festival di Cannes.  Il sipario si apre sul bel volto della scrittrice tedesca Sandra Voyter che sta rilasciando un'intervista ad una giovane giornalista nello chalet sulle montagne vicine a Grenoble, dove vive insieme al marito Samuel e al loro figlio undicenne Daniel, ipovedente da quando ne aveva quattro in seguito a un incidente di cui è stato vittima per una distrazione del padre. La conversazione fra Sandra e la giornalista è fortemente disturbata dalla musica a tutto volume suonata da Samuel, scrittore in crisi che in quel momento sta facendo dei lavori di ristrutturazione in casa con l’obiettivo di mettere su un b&b. La musica diventa assordante al punto che l’intervista deve concludersi prima del tempo. Qualche ora dopo l’uomo viene trovato morto sul selciato innevato davanti allo chalet. Suicidio? Omicidio? La principale sospettata è ovviamente Sandra che viene incriminata d’ufficio. Questo il prologo da cui prende l’abbrivio il film che racconta come, durante l’anno successivo all’incidente, si snocciolano le indagini, la difesa – affidata all'avvocato Vincent, amico di lunga data della donna -, la narrazione degli antefatti, grazie ai quali si ricostruisce la natura passionale ma anche fortemente conflittuale del rapporto tra Sandra e Samuel, e il trauma che tutta la famiglia ha subito in seguito all’incidente del piccolo Daniel. Mi fermo qui perché il film è un thriller, un poliziesco, e tutto verte sull’indagine e sul processo che avrà luogo un anno dopo.

Trama a parte, che cosa mi ha affascinata di questo film molto (troppo?) lungo e a tratti disturbante per l’eccesso di attenzione e vicinanza a cui Justine Triet ci costringe, quasi fosse una anatomo patologa che ci obbligasse a osservare da vicino i risultati della sua dissezione? Perché la mia attenzione è stata rivolta quasi unicamente al progressivo disvelamento degli strati in cui è strutturato il tessuto narrativo più che alla rivelazione finale? Perché il video che viene proiettato in sede processuale, in cui Samuel e Sandra si confrontano – le uniche scene in cui vediamo Samuel vivo –, mi è sembrata una perla rara e non solo un passaggio determinante dell’indagine? Sono giorni che ci penso e la risposta è che si tratta di un film che rasenta la perfezione tecnica. Un film che andrebbe proiettato nelle scuole di cinema e nei corsi di sceneggiatura, a partire proprio da quel dialogo miracolosamente perfetto in cui moglie e marito duettano alternando comprensione e insofferenza come solo i protagonisti dei rapporti di coppia autentici sono capaci di fare. “Anatomia di una caduta”, titolo brillantemente appropriato che esprime la molteplicità dei significati che il film sviscera e racchiude. Non posso che esortarvi ad andare a vederlo, senza pensare alla sua durata ma godendovi il suono argentino del meccanismo artistico quando funziona in modo esemplare. Completamente d’accordo con la giuria di Cannes anche questa volta.

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