Anatomia di una caduta, Justine Triet (2023)
Qualche giorno fa ho visto “Anatomia di una caduta” di
Justine Triet, la regista francese a cui dobbiamo un precedente film del 2019 che
non riscosse molto successo (Sybil – Labirinti di donna), e che con quest’ultimo
si è invece portata a casa niente meno che la Palma d’Oro al Festival di
Cannes. Il sipario si apre sul bel volto
della scrittrice tedesca Sandra Voyter che sta rilasciando un'intervista ad una
giovane giornalista nello chalet sulle montagne vicine a Grenoble, dove vive
insieme al marito Samuel e al loro figlio undicenne Daniel, ipovedente da
quando ne aveva quattro in seguito a un incidente di cui è stato vittima per
una distrazione del padre. La conversazione fra Sandra e la giornalista è fortemente
disturbata dalla musica a tutto volume suonata da Samuel, scrittore in crisi che
in quel momento sta facendo dei lavori di ristrutturazione in casa con l’obiettivo
di mettere su un b&b. La musica diventa assordante al punto che l’intervista
deve concludersi prima del tempo. Qualche ora dopo l’uomo viene trovato morto
sul selciato innevato davanti allo chalet. Suicidio? Omicidio? La principale
sospettata è ovviamente Sandra che viene incriminata d’ufficio. Questo il prologo
da cui prende l’abbrivio il film che racconta come, durante l’anno successivo
all’incidente, si snocciolano le indagini, la difesa – affidata all'avvocato
Vincent, amico di lunga data della donna -, la narrazione degli antefatti, grazie
ai quali si ricostruisce la natura passionale ma anche fortemente conflittuale
del rapporto tra Sandra e Samuel, e il trauma che tutta la famiglia ha subito
in seguito all’incidente del piccolo Daniel. Mi fermo qui perché il film è un
thriller, un poliziesco, e tutto verte sull’indagine e sul processo che avrà
luogo un anno dopo.
Trama a parte, che cosa mi ha affascinata di questo film
molto (troppo?) lungo e a tratti disturbante per l’eccesso di attenzione e vicinanza
a cui Justine Triet ci costringe, quasi fosse una anatomo patologa che ci
obbligasse a osservare da vicino i risultati della sua dissezione? Perché la
mia attenzione è stata rivolta quasi unicamente al progressivo disvelamento
degli strati in cui è strutturato il tessuto narrativo più che alla rivelazione
finale? Perché il video che viene proiettato in sede processuale, in cui Samuel
e Sandra si confrontano – le uniche scene in cui vediamo Samuel vivo –, mi è
sembrata una perla rara e non solo un passaggio determinante dell’indagine?
Sono giorni che ci penso e la risposta è che si tratta di un film che rasenta
la perfezione tecnica. Un film che andrebbe proiettato nelle scuole di cinema e
nei corsi di sceneggiatura, a partire proprio da quel dialogo miracolosamente
perfetto in cui moglie e marito duettano alternando comprensione e insofferenza
come solo i protagonisti dei rapporti di coppia autentici sono capaci di fare. “Anatomia
di una caduta”, titolo brillantemente appropriato che esprime la molteplicità
dei significati che il film sviscera e racchiude. Non posso che esortarvi ad
andare a vederlo, senza pensare alla sua durata ma godendovi il suono argentino
del meccanismo artistico quando funziona in modo esemplare. Completamente d’accordo
con la giuria di Cannes anche questa volta.
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