Roma e il cinema

domenica 14 febbraio 2016

"Le sceneggiature di Harold Pinter", Introduzione


La principale difficoltà in cui ci si imbatte nel fare della sceneggiatura l'oggetto di una analisi interpretativa consiste nel fatto che essa appartiene al linguaggio letterario, ma rimanda al linguaggio cinematografico. Non solo: la sceneggiatura è per definizione una struttura linguistica che trova compiutezza soltanto se trasferita sullo schermo. Una sceneggiatura che non viene realizzata, virtualmente - a parte rare eccezioni -, non esiste.
Il linguaggio cinematografico, a cui la sceneggiatura continuamente rimanda e allude e senza la prospettiva del quale essa sembra non aver ancora trovato ragioni sufficientemente valide per imporsi in modo decisivo, utilizza un sistema di segni che, nonostante numerosi tentativi, rifiuta ogni codificazione generale, limitandosi tutt'al più ad essere analizzato all'interno del singolo film. Risultano, dunque, ancora valide le parole di Roland Barthes, che in un'intervista pubblicata nel 1963 su "Cahiers du cinéma" afferma: "A tutt'oggi ci sembra che il modello di tutti i linguaggi sia la parola, il linguaggio articolato. Ora questo linguaggio articolato è un codice, utilizza un sistema di segni non analogici (e che di conseguenza possono essere, e sono, discontinui); viceversa il cinema si offre immediatamente come un'espressione analogica e continua non si sa da che parte prenderla per introdurvi, abbozzarvi un'analisi di tipo linguistico; per esempio, come ritagliare (semanticamente), come far variare il senso di un film, di un frammento di film? Così il critico che volesse trattare il cinema come linguaggio, abbandonando l'inflazione metaforica del termine, dovrebbe in primo luogo discernere nel contenuto filmico gli eventuali elementi non analogici, o di un'analogia deformata, o trasposta, o codificata, dotati di una sistematizzazione che consentano di trattarli come frammenti di linguaggio; (...) Si tratterebbe, applicando metodi strutturalisti, di isolare degli elementi filmici, di vedere come vengono compresi, a quali significati corrispondono in questo o quel caso, e, inducendo delle variazioni, di vedere in che punto la variazione del significante comporta una variazione del significato. Allora veramente si sarebbero isolate, nel film, delle unità linguistiche, con le quali successivamente si potrebbero costruire le classi, i sistemi, le declinazioni".
In attesa di una tale codificazione del linguaggio cinematografico - se mai essa si verificherà -, a cui corrisponderebbe quasi certamente un cambiamento radicale della struttura linguistica della sceneggiatura, quest'ultima risulta nettamente separata dal film in cui si realizzerà. Tale impressione di separatezza è data dalla reale distanza che corre tra cinema e letteratura, tra immagine e parola, tra linguaggio cinematografico e linguaggio letterario. Solamente l'intervento del lettore, e di un lettore particolarmente attivo, consapevole,, e disposto a collaborare, può colmare questa distanza. Scrive a questo riguardo Pier Paolo Pasolini: "... l'autore di una sceneggiatura fa al suo destinatario la richiesta di una collaborazione particolare, quella cioè di prestare al testo una compiutezza visiva che esso non ha, ma a cui allude. Il lettore è complice, subito - di fronte alle caratteristiche tecniche subito intuite della sceneggiatura - nell'operazione che gli è richiesta: e la sua immaginazione rappresentatrice entra in una fase creativa molto più alta e intensa, meccanicamente, di quando legge un romanzo. La tecnica della sceneggiatura è fondata soprattutto su questa collaborazione del lettore: e si capisce che la sua perfezione consiste nell'adempiere perfettamente questa funzione. La sua forma, il suo stile sono perfetti e completi quando hanno compreso e integrato in se stessi queste necessità. L'impressione di rozzezza e di incompletezza è dunque apparente. Tale rozzezza e tale incompletezza sono elementi stilistici".
Poiché la sceneggiatura è fondata su una scrittura della differenza, non più letteraria e non ancora cinematografica, è necessario che il lettore tessa pazientemente i fili che uniscono questi due mondi linguistici ed espressivi, nella consapevolezza che la sceneggiatura non può e non deve appartenere a nessuno dei due: essa trova la propria identità nella sua natura vettoriale.
Nello spazio che separa le due scritture si muove anche l'opera creativa del regista cinematografico, che prima di essere tale è un lettore come noi e che, solo, saprà darle la forma a cui essa aspira: "(...) il segno della sceneggiatura esprime oltre che la forma una volontà della forma a essere un'altra, cioè coglie la forma in movimento", scrive ancora Pasolini. E conclude: "davanti alla struttura dinamica  di una sceneggiatura, alla sua volontà di essere una forma che si muove verso un'altra forma, noi possiamo benissimo, dall'esterno e in termini strutturali definire con rigore lo stadio A (mettiamo la struttura letteraria della sceneggiatura) e lo stadio B (la struttura cinematografica). Ma nel tempo stesso possiamo rivivere empiricamente il passaggio dall'uno all'altro, perché la struttura della sceneggiatura consiste proprio in questo: passaggio dallo stadio letterario allo stadio cinematografico".
Non siamo in grado di fare ipotesi sulla sorte della sceneggiatura come genere letterario a sé stante, né possiamo prevedere se l'autonomia che finora l'ha contraddistinta aumenterà o, al contrario, diminuirà in seguito all'uso di un nuovo linguaggio fondato sulle stesse unità linguistiche del film. Per il momento possiamo semplicemente auspicare un metodo di lettura che tenga conto della natura autonoma e processuale della sceneggiatura. Ed è con tale criterio che ci siamo accostati alle sceneggiature pinteriane: tentando di colmare un vuoto e con lo sguardo idealmente rivolto alla scena descritta dall'autore.
Lo stesso Pinter, in occasione della proiezione di Reunion a Cannes dichiara in un'intervista a Michel Ciment: "Non posso scrivere una scena che non vedo succedere visualmente, così, per me, può prodursi l'idea per una possibile scena. Vedo nella mia mente l'angolatura della cinepresa".

Nessun commento:

Posta un commento