Quando Francesco Piccolo,
co-sceneggiatore insieme alla regista Francesca Archibugi, dichiara che “Il
nome del figlio” non è la versione italiana di “Cena tra amici”, dice una cosa
vera. Nel senso che il film italiano non è – o almeno non soltanto - la
trasposizione del fortunato film francese in un altro contesto geografico e
culturale, con attori italiani e battute che attingono alla vis comica del Belpaese. Non si tratta insomma di un remake, come nel caso di “Benvenuti al
Sud”, in cui Luca Miniero si limitava a trasferire in territorio italico la trama
e i personaggi tutti francesi di “Giù al
Nord”, Dany Boon.
Al di là delle molte somiglianze, il
film dell’Archibugi e quello della coppia Alexandre de La Patélliere e Matthieu
Delaporte, non solo non sono uno il remake dell’altro, ma attingono a due
universi culturali di riferimento molto diversi: la commedia all’italiana, con
la sua morbida ironia screziata di familiari e rassicuranti nostalgie
goliardiche da un lato, e la solida tradizione del teatro boulevardier, con la
rapinosa velocità dei dialoghi e tutti i tic del caso, dall’altro. Del resto,
non è una coincidenza che all’origine vi sia una pièce teatrale – “Le prénom” –
firmata proprio dai due registi, che nel 2010 ottengono uno straordinario
successo di pubblico.Tutto questo per dire che “Il nome del figlio” è un’opera autonoma, che come ogni opera nasce da qualcosa, ma poi cresce indipendentemente da ciò a cui le radici avrebbero potuto destinarla a prima vista. E’ un film aggraziato, ben scritto e ben girato, con un quintetto di attori ben assortiti che si muovono con pastosa e intensa leggerezza.
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