Roma e il cinema

mercoledì 2 marzo 2016


“Perfetti sconosciuti”, Paolo Genovese (2016)

 
“Siamo frangibili” dice Giallini verso la fine del film. Frangibili non significa solo fragili, è un termine che tiene  l’attenzione volutamente ferma sulla probabilità che un oggetto ha  di frangersi, di rompersi. Per far sì che l’oggetto in questione – che poi saremmo noi – non si rompa, dobbiamo evitare gesti  inconsulti. Come quello di fare il gioco di leggere a voce alta i messaggi che arrivano sui cellulari e di rispondere alle telefonate in vivavoce durante una cena tra amici che si conoscono e si frequentano da una vita. Non svelerò nulla né dell’intreccio né del finale del film, perché si tratta di una storia dove l’ingrediente principale – come in ogni commedia che si rispetti – è il colpo di scena, l’elemento sorpresa. Dirò che questo gruppo di esperti e collaudati attori italiani, ancora una volta riuniti (di questi tempi capita spesso) nella elegante sala da pranzo della coppia più benestante, ci offre una efficacissima prova di recitazione regalandoci il piacere di venire letteralmente catturati dal meccanismo della narrazione. Con la guida di una sapiente sceneggiatura (vedete quanto conta la sceneggiatura?) e della regia di Paolo Genovese, avvezzo alle necessità di sintesi del linguaggio pubblicitario, i personaggi  riescono a comunicare stupore autentico  e grottesco sperdimento, proprio come succede nella vita vera quando la realtà supera la fantasia. Ma questo solido ancorarsi alla verosimiglianza, che è una caratteristica piuttosto tipica del linguaggio pubblicitario, paradossalmente mette “Perfetti sconosciuti” al riparo di ogni rischio di intimismo e lo fa volare sulle tavole di una sorta  di palcoscenico immaginario. E quando un film ci dà l’illusione del teatro è sempre un risultato di cui rallegrarsi, perché vuol dire che la struttura del racconto tiene alla grande.

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