Roma e il cinema

venerdì 29 gennaio 2016

"Dobbiamo parlare", Sergio Rubini (2015)


Sono andata a vedere “Dobbiamo parlare” di Sergio Rubini. L’accostamento a “Carnage” sorge spontaneo dopo pochi minuti dall’inizio del film, ma è una tentazione che va superata perché sarebbe improprio paragonare il testo teatrale di Yasmina Reza, adattato al grande schermo da Polanski, a un soggetto cinematografico vero e proprio come è questo. Sono linguaggi diversi che danno luogo a prodotti differenti e oltretutto possiedono una vis differente (dramma vs commedia). Metterli in paragone può essere solo un giochetto per trascorrere una serata tra amici. Piuttosto, se proprio si ama “trovare le somiglianze/differenze” (come nella settimana enigmistica), il secondo termine di paragone potrebbe essere “Il nome del figlio” di Francesca Archibugi. Questi sì che sono due film equiparabili. In entrambi, 4 attori italiani di grandissimo mestiere vengono messi nell’arena – economicamente poco dispendiosa ed emotivamente familiare al pubblico in sala – delle quattro mura di casa, e una volta lì dispiegano per un paio d’ore tutto il loro talento di interpreti della migliore commedia all’italiana dei giorni nostri. Si piange e si ride (o anche solo si sorride) e alla fine usciamo tutti un po’ rassicurati, come dopo aver sentito i vicini di casa che litigano: c’è chi sta messo peggio di noi, la vita è dura per tutti, e altre amenità del genere… Insomma, siamo lontani dallo sguardo spietato e lucido che domina la scena di “Carnage”, dove il dramma allaga il salotto borghese in cui i protagonisti (e noi con loro) sprofondano, accorgendosi che ciascuno può diventare carnefice dell’altro, in uno straniante gioco di specchi che è tutto fuorché consolatorio.

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