Roma e il cinema

martedì 30 maggio 2023

Rapito, Marco Bellocchio (2023)



Ho visto “Rapito”, il film di Marco Bellocchio, sul caso Edgardo Mortara e dico subito che si tratta di uno splendido film, di quelli che quando arriva la fine vorresti poterlo rivedere da capo. E’ la storia di un bambino ebreo che vive con la sua famiglia a Bologna, circondato dall’affetto dei genitori e dei fratelli, e che nel 1858, all’età di sette anni, viene prelevato dallo Stato Pontificio e portato a Roma per essere cresciuto come cattolico per il semplice fatto di essere stato segretamente battezzato da una servetta che lo aveva ritenuto in fin di vita quando era neonato e di nascosto da tutti gli aveva somministrato il sacramento per evitargli il rischio di finire nel limbo qualora fosse morto.

Secondo le regole della legge papale, il battesimo, ancorché effettuato alla bell’e meglio con acqua comune e la frase di rito appena smozzicata dalla ragazza, una volta scoperto, impone al bambino un’educazione cattolica che deve essere impartita allontanandolo dalla famiglia di origine. Infatti, le leggi dello Stato Pontificio vietavano a persone di altre fedi di crescere i cristiani. Così, il piccolo Mortara viene “rapito” e trasferito da Bologna a Roma, dove viene allevato secondo i precetti cristiani sotto la custodia di Papa Pio IX. Naturalmente i genitori e l’intera comunità ebraica cercano di opporsi con ogni mezzo, ma tutti gli sforzi sono vani. Edgardo vivrà lontano dalla sua famiglia, dimenticando la sua religione e assorbendo i dettami del cattolicesimo. Detto così sarebbe violenza pura, e naturalmente in larga parte lo è. Ma quello che rende il film un capolavoro dove sensibilità e immaginazione si fondono con l’accuratezza della ricostruzione storica è l’aver saputo delineare tutte le sfumature dei sentimenti che tempestano dall’inizio alla fine gli animi dei protagonisti: paura, disperazione, rabbia, speranza, dolore, rassegnazione, riconoscenza, fiducia, desolazione. Nel turbinio disastroso di sopraffazione, crudeltà e dolore, il film non rinuncia a raccontare anche di rare dolcezze, di minuscole complicità, di impercettibili momenti di pace, di rivelazioni che nonostante tutto si fanno strada tra le pieghe salate delle lacrime. Edgardo resiste all’urto dell’infelicità e della solitudine, cresce, diventa un fervido credente e all'età di ventitré anni viene ordinato sacerdote cattolico con il nome di Pio. Nel 1895 tenta inutilmente di convertire l’amata madre sul letto di morte e viene cacciato dalla famiglia inorridita da tanto ardire. Resta nel cuore l’ultima scena quando, a pochi metri dalla mamma ormai spenta, Edgardo si accarezza la guancia, proprio come aveva fatto lei la notte prima che lo portassero via. In quella carezza che il giovane prete evoca e si restituisce c’è tutto l’amore che gli è stato inutilmente strappato nel nome di una regola disumana a cui, forse, la fede che incredibilmente lo ha toccato restituisce senso.

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