La famiglia protagonista dell’ultimo
film di Gabriele Muccino si riunisce per festeggiare le nozze d’oro di Alba
(Stefania Sandrelli) e Pietro (Ivano Marescotti). La pletora di fratelli, figli
- tutti accompagnati dai relativi coniugi e in un caso anche dalla ex -, cugini
e nipoti costituisce una sorta di brodo primordiale in cui il regista intende innescare e far esplodere i piccoli grandi drammi dell’ipocrisia che
serpeggia nella famiglia borghese. Potrebbe essere già questa una cornice sufficiente
per la buona riuscita dell’esperimento,
ma il regista non si accontenta e decide
di inchiavardare i suoi personaggi nell’ancora più solido spazio chiuso
costituito da un’isola (Ischia) da cui, contrariamente ai programmi di tutti i personaggi,
non si può andare via al termine della festa a causa di un’improvvisa tempesta
che blocca i collegamenti con la terraferma. A quel punto, tutte le tensioni
che fino a quel momento sono rimaste sotto traccia, secondo i calcoli del regista, dovrebbero deflagrare senza più
remore e si dovrebbe assistere a una sorta di dramma borghese in cui i
personaggi si svelano per quello che realmente sono. Magari fosse così! Quello
a cui gli spettatori assistono, ahimé, è invece un patetico andirivieni dei
personaggi che, per simulare l’irrequietezza esistenziale che li divora, non smettono
un momento di camminare avanti e indietro tra le
stanze della villa in cui sono alloggiati, il giardino che la circonda e i
vicoli dell’isola, come inesausti burattini che non trovano pace. Senza un briciolo di “necessità” drammaturgica – ma anzi
secondo i piatti automatismi di un copione precotto -, queste esili figurine di
cartone sbattono tra loro come falene impazzite, nel vano tentativo di
significare una lotta interiore che non c’è. Al culmine del “dramma”, Carlo
(Pierfrancesco Favino) finisce quasi per buttare di sotto dalla scogliera l’insopportabile
e stupidissima moglie Ginevra (Carolina Crescentini) che lo tormenta con la sua
gelosia retroattiva, mentre suo fratello (Stefano Accorsi) seduce una bella
cuginetta testè ritrovata e i due vengono platealmente scoperti dalla figlia di
lei che si mette a gridare come un’aquila per l’orrore che la visione dei due avvinghiati
sul letto le suscita. Ci viene da chiederci se Muccino abbia qualche nozione di
psicologia o abbia mai letto almeno un paio di classici della letteratura. La risposta
è no, altrimenti mai avrebbe potuto anche solo concepire sviluppi così
bislacchi e ingenui della sua trama. Vi risparmio il resto, tanto avrete già
capito come la penso.
Il titolo del film poteva richiamare tematiche di pirandelliana memoria, oppure film ottimamente riusciti come “Parenti
serpenti” di Monicelli o “La terrazza” di Scola, tanto per citare i primi che
mi vengono in mente. Il risultato, magari non sarebbe stato originalissimo, ma forse si sarebbero potute passare un paio d'ore di innocuo svago. Invece, ci si annoia mortalmente a seguire l’affastellarsi inutile di
storielline senza spessore, per di più condite da una sequela di luoghi comuni da
cui un regista maturo dovrebbe aver imparato a difendersi almeno un po’.
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