Roma e il cinema

martedì 13 marzo 2018

A casa tutti bene, Gabriele Muccino (2018)


 
La famiglia protagonista dell’ultimo film di Gabriele Muccino si riunisce per festeggiare le nozze d’oro di Alba (Stefania Sandrelli) e Pietro (Ivano Marescotti). La pletora di fratelli, figli - tutti accompagnati dai relativi coniugi e in un caso anche dalla ex -, cugini e nipoti costituisce una sorta di brodo primordiale in cui il regista intende innescare e far esplodere i piccoli grandi drammi dell’ipocrisia che serpeggia nella famiglia borghese. Potrebbe essere già questa una cornice sufficiente per la buona riuscita dell’esperimento,  ma il regista non si accontenta e decide  di inchiavardare i suoi personaggi nell’ancora più solido spazio chiuso costituito da un’isola (Ischia) da cui, contrariamente ai programmi di tutti i personaggi, non si può andare via al termine della festa a causa di un’improvvisa tempesta che blocca i collegamenti con la terraferma. A quel punto, tutte le tensioni che fino a quel momento sono rimaste sotto traccia, secondo i calcoli del regista, dovrebbero deflagrare senza più remore e si dovrebbe assistere a una sorta di dramma borghese in cui i personaggi si svelano per quello che realmente sono. Magari fosse così! Quello a cui gli spettatori assistono, ahimé, è invece un patetico andirivieni dei personaggi che, per simulare l’irrequietezza esistenziale che li divora, non smettono un momento di camminare avanti e indietro tra le stanze della villa in cui sono alloggiati, il giardino che la circonda e i vicoli dell’isola, come inesausti burattini che non trovano pace. Senza un briciolo di “necessità” drammaturgica – ma anzi secondo i piatti automatismi di un copione precotto -, queste esili figurine di cartone sbattono tra loro come falene impazzite, nel vano tentativo di significare una lotta interiore che non c’è. Al culmine del “dramma”, Carlo (Pierfrancesco Favino) finisce quasi per buttare di sotto dalla scogliera l’insopportabile e stupidissima moglie Ginevra (Carolina Crescentini) che lo tormenta con la sua gelosia retroattiva, mentre suo fratello (Stefano Accorsi) seduce una bella cuginetta testè ritrovata e i due vengono platealmente scoperti dalla figlia di lei che si mette a gridare come un’aquila per l’orrore che la visione dei due avvinghiati sul letto le suscita. Ci viene da chiederci se Muccino abbia qualche nozione di psicologia o abbia mai letto almeno un paio di classici della letteratura. La risposta è no, altrimenti mai avrebbe potuto anche solo concepire sviluppi così bislacchi e ingenui della sua trama. Vi risparmio il resto, tanto avrete già capito come la penso.
Il titolo del film poteva richiamare  tematiche di pirandelliana memoria, oppure  film ottimamente riusciti come “Parenti serpenti” di Monicelli o “La terrazza” di Scola, tanto per citare i primi che mi vengono in mente. Il risultato, magari non sarebbe stato originalissimo, ma forse si sarebbero potute passare un paio d'ore di innocuo svago. Invece, ci si annoia mortalmente  a seguire l’affastellarsi inutile di storielline  senza spessore, per di più condite da una sequela di luoghi comuni da cui un regista maturo dovrebbe aver imparato a difendersi almeno un po’.

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