Roma e il cinema

sabato 30 gennaio 2016

“The Revenant”, Alejandro González Iñárritu (2015)


Avrebbe potuto essere soltanto un film d’avventura basato sulla storia vera di Hugh Glass, un trapper particolarmente coraggioso e tenace che intorno al 1820 sopravvive fortunosamente all’attacco quasi mortale di una spaventosa orsa che difende la sua cucciolata. Avrebbe potuto essere l’epico racconto della vendetta che Glass decide di prendersi dal momento in cui viene tradito dai compagni che gli uccidono l’adorato figlio mezzo sangue e lo abbandonano credendolo morto a causa delle terribili ferite. E già così sarebbe stato un gran film: Di Caprio fenomenale (anche se quasi muto), paesaggi grandiosi, trama ineccepibile, emozioni forti. Ma il regista di “The Revenant” è Iñárritu e così il film ci rapisce e ci fa volare altissimi, tra le cime degli alberi che continuamente vengono inquadrate attraverso lo sguardo silenzioso e straziato del cacciatore di pelli ridotto in fin di vita. E da lassù osserviamo il confronto tutto umano, impietoso e senza retorica, che attanaglia i protagonisti: i cattivi sono cattivi davvero, i buoni non vengono premiati, gli Indiani non sono fieramente belli, il protagonista non è un eroe. Sullo sfondo, a dare profondità e spessore, il respiro spirituale di Iñárritu che regala al film una dimensione in più, dando voce al misterioso mondo delle tribù indiane.

venerdì 29 gennaio 2016

"Carol", Todd Haynes (2015)



Quei cieli freddi striati di luce rosa che fanno da sfondo alla fuga in auto delle due amiche-amanti, la morbidezza voluttuosa del visone di Carol, il pervinca abbacinante dei suoi occhi. E lo sperdimento immemore che accompagna la nascita di questo nuovo amore, a cui fa da controcanto l'allontanamento da ogni calore familiare e domestico. "Casa", mormora a un certo punto Carol, in un soffio di dolorosa nostalgia che dice tutto. Ma ciò nonostante, riuscirà a resistere, a non perdersi, saprà tenersi stretta a sé e alla fine verrà ricompensata. Come dimenticare il fulgore trionfante del suo ultimo sorriso sullo schermo? Bellissimo film (Todd Haynes) tratto da bellissimo libro (Patricia Highsmith).

"Sopravvissuto - The Martian", Ridley Scott (2015)


Mi sono entusiasmata perché, nel suo genere, è un film assolutamente perfetto. Intendiamoci, non è un film originale né per i contenuti né per il linguaggio, anzi diciamo pure che segue pedissequamente il tradizionale copione di centinaia di altri eccellenti prodotti cinematografici simili. Squaderna montaggio, fotografia, dialoghi e recitazione di sapientissimo e collaudato mestiere e condisce il tutto con una colonna sonora bella ed efficace. Eppure, il film non finisce qui. La terribile storia dell'astronauta naufragato su Marte, come un novello Robinson Crusoe, oltre a tenerci avvinghiati allo schermo per ben due ore e mezzo (merito anche di Matt Damon, diciamolo), è anche la storia di tutti noi, come lui naufraghi ma su questa terra. Come lui in grado di salvarci solo sapendo usare giorno dopo giorno, ogni giorno della nostra vita, tutta la nostra intelligenza, tutta la nostra forza interiore, tutta la nostra gioia di esserci per il tempo che ci sarà dato.

“Suburra”, Stefano Sollima (2015)


Premesso che si tratta di spettacolo – un luogo diverso dal cinema d’inchiesta o d’autore -, il film mantiene le promesse. Attori tenuti a briglia corta che danno il meglio di sé, fotografia rotonda e polposa, dialoghi di densa immediatezza. Si respira il senso della fine, scandito da una colonna sonora prepotente e da una pioggia di biblica reminiscenza (non a caso quelli del film sono i giorni delle dimissioni di Ratzinger). Nella galleria dei criminali, talmente veri da sfiorare l’iperrealismo, scelgo il personaggio di Spadino, per quanto anche “Numero 8“ con tutti i suoi tatuaggi e lo sguardo da pazzo. Spadino, un pesce piccolo, stravolto dalla cattiveria e dall'avidità che lo accecano al punto da trasformarlo in preda per i suoi stessi simili. Sullo sfondo c’è Roma, che Sollima ci restituisce magnifica, opulenta, eternamente indifferente alle miserie del male umano.

"Dobbiamo parlare", Sergio Rubini (2015)


Sono andata a vedere “Dobbiamo parlare” di Sergio Rubini. L’accostamento a “Carnage” sorge spontaneo dopo pochi minuti dall’inizio del film, ma è una tentazione che va superata perché sarebbe improprio paragonare il testo teatrale di Yasmina Reza, adattato al grande schermo da Polanski, a un soggetto cinematografico vero e proprio come è questo. Sono linguaggi diversi che danno luogo a prodotti differenti e oltretutto possiedono una vis differente (dramma vs commedia). Metterli in paragone può essere solo un giochetto per trascorrere una serata tra amici. Piuttosto, se proprio si ama “trovare le somiglianze/differenze” (come nella settimana enigmistica), il secondo termine di paragone potrebbe essere “Il nome del figlio” di Francesca Archibugi. Questi sì che sono due film equiparabili. In entrambi, 4 attori italiani di grandissimo mestiere vengono messi nell’arena – economicamente poco dispendiosa ed emotivamente familiare al pubblico in sala – delle quattro mura di casa, e una volta lì dispiegano per un paio d’ore tutto il loro talento di interpreti della migliore commedia all’italiana dei giorni nostri. Si piange e si ride (o anche solo si sorride) e alla fine usciamo tutti un po’ rassicurati, come dopo aver sentito i vicini di casa che litigano: c’è chi sta messo peggio di noi, la vita è dura per tutti, e altre amenità del genere… Insomma, siamo lontani dallo sguardo spietato e lucido che domina la scena di “Carnage”, dove il dramma allaga il salotto borghese in cui i protagonisti (e noi con loro) sprofondano, accorgendosi che ciascuno può diventare carnefice dell’altro, in uno straniante gioco di specchi che è tutto fuorché consolatorio.

"Per amor vostro", Giuseppe Gaudino (2015)


Tra i film visti durante questo lungo ponte, svetta su tutti "Per amor vostro" di Giuseppe Gaudino, recuperato in corner in una sala d'essai di quartiere. Valeria Golino interpreta Anna, madre di tre adolescenti, uno dei quali muto, e moglie mite ma non rassegnata di un usuraio rozzo e stacciuto di cui finge di ignorare i traffici.
La Golino, che con gli anni migliora come il buon vino, è molto in parte e ci regala un fulgido ritratto di donna appassionata, sensibile e lieve, che non si arrende alla bruttezza della vita.
Il miracolo con cui il film felicemente si conclude dona alla storia un fresco sapore surreale, a metà tra sogno e magia.
Del resto siamo a Napoli, terra in cui i sentimenti si incarnano e prendono vita.

"A Perfect Day", Fernando Leon de Aranoa (2015)


Prima di essere sommersi dalla girandola cinematografica natalizia, vi consiglio di non perdere "A Perfect Day" di F. Leon de Aranoa. Grazie a una solida sceneggiatura e ad una regia asciutta e sicura, si affrontano con relativa leggerezza argomenti tutt'altro che marginali: la complessità delle scelte difficili, l'insidiosa facilità con cui anche i migliori possono commettere errori marchiani, l'ottusita' senza rimedio della guerra, il valore dei gesti che vengono dal cuore. Per tutta la durata del film, sullo sfondo di paesaggi che tolgono il fiato e di una entusiasmante colonna sonora, campeggia Benicio del Toro, irresistibile eroe del nostro tempo.

"Il ponte delle spie", Steven Spielberg (2015)


Quel momento magico in cui lo spettatore, immerso nel buio della sala, si dimentica di sé e viene rapito dalla fascinazione dello schermo, quel momento si chiama "cinema". È una sorta di miracolo, che si verifica più raramente di quanto si pensi, e che è del tutto indipendente dalla validità dei contenuti o dallo spessore intellettuale e artistico dei registi. Spielberg quel miracolo riesce a farlo ogni volta, dai tempi di "Duel" (aveva 25 anni!) fino a questo ultimo "Ponte delle spie". Oltre ad una sceneggiatura d'eccezione (fratelli Coen) e ad un eccellente Tom Hanks, il film ci offre due chicche assolute. Una straordinaria Berlino, colta nel momento in cui viene tirato su il Muro, ricostruita con uno scrupolo degno di un Visconti d'oltreoceano, e il precipitare silenzioso e terribile di un pilota e del suo piccolo aereo colpito dai razzi del nemico. Due scene tutto sommato secondarie rispetto all'intreccio principale - a sua volta colmo di momenti memorabili - che Spielberg sembra girare per divertimento, per quel gusto tutto suo di farci sprofondare nell'abisso della grande illusione.

"Heart of The Sea", Chris Hemsworth (2015)


Pensando a come avrebbe potuto essere il prequel di Moby Dick - una delle storie più affascinanti e dense di metafore di tutti i tempi - mi sarei aspettata un film di genere, solidamente costruito per restituire suggestioni e dare corpo al mistero. Compito tutt'altro che facile per il regista Ron Howard: mettere sullo schermo la ragione narrativa del mito della balena bianca! E infatti dispiace constatare che nonostante i suoi sforzi titanici, la sfolgorante bellezza di Chris Hemsworth (vi ricordate "Rush"?) e una profusione di flutti tempestosi da togliere il respiro, il film non decolla. Dopo un promettente inizio, si arena in una parte centrale dedicata al naufragio che risulta piatta e inutilmente lunga, per poi avviarsi ad una serie di finali che si susseguono nella vana ricerca di una chiusa memorabile che non arriva. Peccato, un'occasione persa! Tuttavia, noi ragazzi nati negli anni '60 continueremo a nutrire affetto e simpatia per il biondino di Happy Days, il rassicurante Richie Cunningham dei nostri tranquilli pomeriggi che furono.